giovedì 27 marzo 2008

"RAPPORTI DI CONVENIENZA"









Non ho mai avuto l'amica del cuore. Tutt'al più ho avuto amiche occasionali di convenienza. Convenienza solidale, non economica, naturalmente.

Devo dire che non sono fatta per il gineceo e non riesco a legare con il genere femminile che troppo spesso percepisco frivolo nella conversazione e negli atteggiamenti. Purtuttavia riconosco che ci sono donne capaci, dotate di grande forza mentale e grande forza d'animo.
Ad ogni modo, per quanto accada di rado, mi è capitato di avere "un uomo per amica". Si tratta di un uomo che per parecchi anni ho avuto come collega d'ufficio. Un uomo come pochi: di bell'aspetto e di belle maniere, affidabile e coscienzioso; uno che ha una conversazione aperta e versatile; uno che come parla così ascolta.

Io sono espansiva per natura e sincera (spesso anche troppo), e socializzo facilmente, ma non mi aspetto dagli altri altrettanta benevolenza. La vita mi ha insegnato a relazionarmi con accortezza e a non essere invadente; perciò volentieri prendo le persone quando e come vengono e le lascio senza rammarico quando se ne vanno.
Non c'è alterigia o egoismo in questo mio modo "conveniente" di rapportarmi agli altri.
In gioventù non avevo pregiudizi ma nel tempo, e specialmente nell'ambiente di lavoro, mi sono trovata a dover fare i conti con i comportamenti insinceri ed opportunistici del mio prossimo ed ho maturato un atteggiamento mentale di cautela.

Provo qui a ripercorrere a grandi passi il mio trascorso lavorativo, cercando di spiegare perché non mi riesce di relazionarmi spassionatamente.

L'impatto con il lavoro in banca è stato sconcertante. Il direttore di allora, prima di tutto, ci tenne a puntualizzare che io gli ero stata imposta e che lui non avrebbe voluto donne nell'organico della sua sede, perché improduttive. A lui bastava quella che c'era, la sua "segretaria" (gli dosava pure le medicine), la quale spesso era assente per motivi personali. Subito mi chiese se ero fidanzata e se avessi intenzione di mettere su famiglia; quindi, lungimirante com'era, per ripartire i disagi che avrei potuto arrecare con le mie assenze per gravidanza, pensò bene di assegnarmi a due uffici i cui "capi" si contendevano la mia persona per lavori insulsi e ripetitivi.
Non potevo accettare una tale discriminazione ed ho voluto misurarmi con il genere maschile sui lavori di concetto e sui rapporti con la clientela, riuscendovi benissimo peraltro. Tant'è che per più di trent'anni ho lavorato con bravura nel settore "impieghi", nell'assistenza creditizia alle imprese.
(che stress dover essere brava due volte per ottenere credito da parte di maschi arroccati su una atavica mentalità borbonica !!)
In banca, durante i lontani primi due anni sono stata praticamente unica donna, giovanissima, in mezzo ad una trentina di marpioni. C'erano sì persone qualificate e stimabili, ma i più erano uomini di poca levatura: c'erano squallidi, fannulloni, leccaculo, sboccati e puttanieri. C'era chi andava fuori misura con la lingua e con le mani, ma io mi difendevo benissimo. Avevo adottato il principio secondo cui "la miglior difesa è l'attacco" e mi riusciva di spiazzare i maldestri provocatori con la tecnica del rilancio. In questo "gioco" avevo dalla mia parte un collega gay, intelligente e schietto, a cui raccontavo avventure e disavventure.
Via via sono arrivate altre donne (ben poche con la "D" maiuscola) .... e sono incominciate tresche, maldicenze, ostentazioni, rivalità, dispetti .... e l'aria è divenuta pesante.
Ho respirato quell'aria inquinata per tanti anni e qualche pugnalata alle spalle l'ho ricevuta. Ero invidiata (dalle donne soprattutto) per la considerazione di cui godevo, e forse anche per la mia femminilità.

Se non si ha spirito di adattamento e nervi saldi, anche negli ambienti amministrativi ci si può ammalare. Buona regola è fare bella faccia a cattivo gioco e tenere le distanze dalle vicende altrui; essere più arbitri che giocatori e concepire i rapporti interpersonali in modo convenzionale.

lunedì 17 marzo 2008

SESSODIPENDENZA




Il titolo di questa foto è "vuoti"

------------------------------
Chi attiva un blog, non lo fa per parlare a sé stesso; lo fa per comunicare qualcosa a qualcuno. Possibilmente per interloquire.
Ho postato già molti condensati (così li chiamo io!) e molte foto, e non credo di aver fatto un lavoro del tutto banale.
Ho un "contatore" che registra le visite di questo sito e vedo che qualcuno mi intercetta su argomenti che ritenevo desueti (vedasi "Cassa Peota"), e questo mi fa piacere. Ma ciò che mi delude è constatare che oltre il 70% dei visitatori arriva sul post "Puttane e Puttanieri"; vi arrivano a tutte le ore, specialmente dall'Italia centrale, specialmente dall'Emilia Romagna. Come a dire che questa è la materia più ricercata nella rete. Ho capito che basta usare una terminologia volgare, seppur appropriata, per diventare interessanti. Perciò il titolo di questo intervento è volutamente spinto, un nuovo terreno di prova per saggiare la diffusione dei tabù sessuali.
Sicuramente i curiosi del sesso non trovano qui quello che cercano e, immagino, nemmeno leggono quello che ho scritto. Ma è sintomatico di quante siano le persone che rivelano di avere vizi privati.
Viviamo in un tempo smodato in cui si assume tutto e il contrario di tutto; si disorientano i deboli e si semina solitudine; non si pensa a colmare i vuoti culturali che imbarbariscono l'animo umano.

giovedì 13 marzo 2008

OCCHI AZZURRI


avevo 18 anni
--------------

Ero bella e sagace, estroversa e anticonformista, disponibile e leale. Il mio spirito libero era biasimato dai paesani bacchettoni ma io non me ne curavo e andavo avanti per la mia strada, sicura di poter fronteggiare con successo tutto e tutti. Volevo un ruolo da protagonista nella commedia della vita.
Nel corso degli anni, più volte sono stata avvicinata da persone che dicevano di conoscermi al tempo della scuola, persone che ci tenevano a testimoniare il carisma di cui godevo. Erano i professori stessi a parlare di me nelle altre classi e io non lo sapevo. Mi è stato detto che facevo tendenza ... pure nel vestire. E' possibile. Mi ingegnavo come potevo. Scucivo e ricucivo abiti smessi, specialmente quelli che una ricca signora di Venezia mi portava quando veniva in paese, nella sua villa di campagna.
Mi viene in mente che, anticipando Raffaella Carrà, mi ero confezionata un bellissimo abito "stile odalisca" che lasciava abbondantemente scoperto l'ombelico. Certamente non l'ho indossato a scuola e nemmeno in paese. Lo portai in crociera e fui corteggiata; lo portai nel vercellese bigotto, dove andai ospite di lontani parenti, e feci scandalo.

In questo post rivelo il mio volto giovane, tratto da un ritaglio di giornale che conservo gelosamente perché mi riporta alla mente una storia simpatica che qui di seguito racconto.
Non ricordo il fine (forse solo per mettermi in mostra), certo è che inviai la mia foto accompagnata da dati personali, ad un settimanale che la pubblicò.
Gli effetti ci furono, impensati ma pensabili.
Era settembre e tornavo dall'esame di riparazione di filosofia. Mio padre mi stava aspettando sulla porta di casa con un atteggiamento severo. Mi disse: "mi auguro che sia andato tutto bene"; "sicuramente" risposi. Entrammo, e lui: "cos'è questa roba?" Sul tavolo di cucina c'era una montagna di posta da tutta Italia e anche dall'estero. Non potevo immaginare una cosa simile. La maggior parte delle lettere era scritta da carcerati; qualcuna portava pure lacrime. Qualcuno mi mandava oggetti confezionati dietro le sbarre (ricordo uno splendido scialle bianco che restituii perché troppo impegnativo). Ho ricevuto foto e dichiarazioni d'amore.
Ho corrisposto in italiano con un bellissimo ragazzo austriaco ed in francese con un giovane architetto danese. Quest'ultimo mi inviava artistiche lettere con raffigurazioni che lui stesso disegnava a colori, e foto sue e della sua casa. Mi fece incontrare i suoi genitori in vacanza in Italia e mi propose di raggiungerlo, ma io non ero interessata ad una relazione seria e misi fine alla storia.
Ho bruciato tutto quel materiale ed ora me ne dispiaccio. Mi rimane solo il ritaglio di giornale sgualcito.

Di quel tempo breve, intenso e spericolato, posso raccontare solo le storie che non toccano la sensibilità di chi mi vive accanto; mentre molte esperienze di allora è giusto che restino nella mia mente.
Ho volato solo tre anni e poi mi sono piantata a terra. Con lavoro casa e marito ho smesso di sognare e sono diventata responsabile e prudente.

martedì 11 marzo 2008

"FOTO STORICHE"


anni 1940/1941 (cliccare per ingrandimenti)
---------------------



Il Vecchio e sua moglie erano di Vittorio Veneto ("razza Piave") e lì sono nati anche i loro figli.

Erano sopravvissuti alla Grande Guerra e sono stati al passo lungo i cinquant'anni centrali del secolo scorso, vivendo il fascismo, la Seconda Guerra Mondiale ed il boom economico.
Si sono fatti da parte quando è iniziata l'era informatica.
Erano soliti raccontare il bello ed il brutto del loro passato remoto: nel "bello" ricomprendevano il contesto storico sociale di quand'erano giovani (dicevano di come si stava bene sotto Mussolini. Non si dovevano chiudere porte e finestre per paura dei ladri); mentre nel "brutto" davano largo spazio alle laceranti cattiverie fra parenti.
Ora, per loro, parlano le "vecchie cose" rinvenute nella grande zeppa casa che hanno lasciato. Foto, libri, lettere, attestati, medaglie, monete, ecc. I figli hanno rovistato fra quei "ricordi" e ciascuno ha preso qualche pezzo di memoria da conservare.
Io ho preso in custodia le foto. E' incredibile quante siano quelle tramandate, scattate ad un familiare quand'era volontario nella Milizia Portuale fascista.
Ne ho scelte alcune e le pubblico.


Ho voluto aggiungere anche due cartoline dell'epoca, espressione della propaganda fascista.